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                                                                E' NATA UNA STELLA

 

 

Era l'estate del 1990 e quel mattino a Milano il clima era decisamente mite.

Il cielo era azzurro, gli uccellini cinguettavano e tutto il resto. Perfino il traffico era rado.

Insomma, la giornata ideale per fare un giro in bicicletta.

Monica però non era di quel parere. Mentre solcava i viali alberati del centro, tra una pedalata e l'altra, l'unica cosa a cui pensava era che non aveva alcuna voglia di essere lì e di dover raggiungere la propria meta.

Il problema era che stava andando in banca a pagare una bolletta della sorella maggiore.

Erano anni ormai che non andava più d'accordo con lei, ma il punto era un altro.

Sua sorella Alessia era andata a vivere da sola da qualche anno, per essere più autonoma e farsi una vita sua, e questo ci stava. Peccato però che il suo concetto di autonomia includesse il fatto che la casa dei suoi genitori dovesse diventare la sua depandance.

Lavaggio, stiraggio, spesa e quant'altro erano stati praticamente appaltati ai suoi genitori, insieme a numerose altre piccole incombenze. Così adesso lei aveva, si può dire, la botte piena e la moglie ubriaca.

QQQuello che veramente la faceva arrabbiare però era l'atteggiamento dei suoi genitori che, lungi dal lamentarsi, sembravano contenti che il loro pulcino non avesse definitivamente abbandonato il nido, giustificando tutte le sue richieste dicendo che “Poverina, lei è tutto il giorno al lavoro, come fa a stare anche dietro alla casa?".

Esattamente come facevano loro due dato che ancora lavoravano entrambi, era la risposta standard di Monica.

-Ma poverina, lei è da sola!- era la loro, invece.

Un muro di gomma, insomma.

Ma in fin dei conti, quello che la faceva incazzare sul serio era come anche lei, dato che ancora abitava in casa con i suoi e al momento era senza lavoro, fosse entrata automaticamente a far parte del pacchetto servizi della sorella. Questo perchè mamma e papà non avevano il tempo fisico per occuparsi di tutto e quindi alcune incombenze ricadevano così, per forza di gravità, sulle sue spalle.

Avrebbe potuto rifiutarsi?

Probabilmente sì, ma questo avrebbe significato solo il moltiplicarsi degli sforzi dei suoi genitori nei confronti di Alessia, a discapito del loro già poco tempo libero.

E così Monica si sacrificava, seppur malvolentieri.

In fondo, si diceva, non stava facendo un favore a lei, ma ai propri genitori.

Sì, come no.

Il nervoso le iniettava energia da sfogare rendendo la sua pedalata sempre più carica, tanto che a momenti andò a sbattere contro un'automobile ferma per strada.

Inchiodò di brutto con tutti e due i freni, cercando di non scivolare di lato.

-Ma che cazzo...?- sbottò ad alta voce, ma nessuno le fece caso. Stavano tutti guardando in alto.

Istintivamente, volse lo sguardo al cielo anche lei, e lo vide passare.

Volava a bassa quota, e si poteva chiaramente distinguerne il profilo, anche grazie allo sgargiante costume rosso. Era il Diavolo dei Cieli. Le corse un brivido lungo la schiena. Da un lato, perchè vedere quella gente con i poteri faceva veramente impressione, era un po' come se il cervello si rifiutasse di capire quello che stava vedendo. Da un altro, perchè si era sempre domandata come sarebbe stato scopare con un tizio che poteva volare. Come si sarebbero coniugati il godimento con le vertigini?

Comunque, di certo non con lui. L'aveva visto in faccia durante un'intervista televisiva, e anche con la maschera si capiva al volo che era un vero cesso. E poi aveva un nome troppo idiota.

Ma quasi tutti i super eroi italiani avevano un nome idiota, come il Catturatore o lo Spaccacrani. O almeno così le sembrava. Forse quelli stranieri suonavano meglio solo perchè erano pronunciati in una lingua esotica. Mah.

Appena il Diavolo sparì dietro ad un blocco di edifici la gente si rianimò, e cominciò a discutere di quello che avevano appena visto. A cosa gli servisse, poi...

Il tizio davanti rimise in moto e si avviò, e lei fece lo stesso.

Buttò uno sguardo truce ai due signori di mezza età che avevano approfittato del suo pit stop per sbirciarle il culo. Vecchi maiali. Avranno avuto almeno l'età di suo padre. Che pure lui, a volte, l'aveva beccato a buttare l'occhio verso qualche ventenne particolarmente scosciata.

Ma si sa, gli uomini sono fatti così. Sono fatti male.

Lei, dal canto suo, non aveva mai fatto gran che per attirare gli sguardi. Non indossava mai magliette troppo scollate, o microgonne che parevano cinture. La sua tenuta estiva standard erano jeans e maglietta sbracciata, e via così. Non sentiva il bisogno di esporre le sue grazie al popolo, e non capiva gran che le altre ragazze che lo facevano. Ma forse dipendeva tutto dal fatto che non ne aveva bisogno, le sue forme attiravano già gli sguardi anche così. Monica aveva un fisico prorompente, ben distante dalla taglia 42 tanto pubblicizzato dalle varie Veline, Letterine e via discorrendo, e i ragazzi che le facevano il filo la dicevano lunga sul fatto che certi modelli di femminilità travalicavano i tempi e le mode. Un amico di sua sorella continuava a dirle che assomigliava alla Carmen Russo, pensando di farle un complimento, ma la sua risposta era sempre stata -No, è la Carmen Russo che assomiglia a me, casomai.-, e morta lì. Il tizio in questione aveva delle evidenti mire su di lei, ma cascava male, già con quel commento si era tagliato le gambe da solo. Monica non amava essere confrontata con le altre.

Lei era lei e basta.

Stoppò la bicicletta di fronte alla banca e la assicurò al palo di un cartello stradale con la catena. Prima di entrare si fermò un attimo a pulirsi gli occhiali con un fazzoletto. Era un gesto automatico, lo faceva sempre prima di entrare in un posto pubblico. Non sopportava le persone con le lenti sporche, e di conseguenza non voleva rientrare nella categoria.

Sospirando, varcò le porte a vetri automatiche e rimirò sconsolata la lunga coda di persone che facevano la fila alle casse.

Che due palle.

Ne avrebbe avuto minimo per mezz'ora, e tutto per pagare le spese condominiali di Alessia. A saperlo, si sarebbe portata qualcosa da leggere.

Un paio di persone entrate dopo di lei stavano commentando tutti eccitati l'avvistamento del Diavolo dei Cieli di poco prima, ad alta voce, e questo la infastidì un po'.

Non amava i fan, di qualunque tipo. Certo, meglio esserlo di un super eroe piuttosto che di un cantante o di un calciatore, almeno quella era gente che offriva un servizio pubblico, ma non sopportava quel dividersi in tifoserie, meglio l'uno o l'altro, come ragazzini che discutevano se fosse più forte Goldrake o Mazinga. O quei tizi che quando li vedevano passare si sbracciavano a salutarli, quasi fossero stati vecchi amici. Perchè non facevano così anche quando passava una volante della polizia o una gazzella dei carabinieri? Anche quelli davano la caccia ai cattivi, e pure senza super poteri. Ma la gente è così, più è grande, colorato e irraggiungibile, e più gli piace, qualunque cosa.

E per essere irraggiungibili lo erano. Nessuna identità, nessun riferimento, arrivavano e sparivano quando volevano. Le possibilità di incrociarne uno erano davvero rare, e non è che fosse una cosa da augurarsi, a dire il vero. Le uniche occasioni in cui si poteva conoscere un super eroe, mediamente, erano quelle in cui ci si trovava in pericolo di vita, o giù di lì.

Fu in quel preciso istante che le porte di cristallo della banca esplosero con un fragore assordante. Frammenti agglomerati e fusi scoppiarono in ogni direzione, investendo tutto l'ambiente come una grandinata. Immediatamente fu il panico, grida e spintoni ovunque. In tutto quel caos, Monica fece in tempo a vedere una figura inguainata di metallo armata con due pistole stagliarsi sulla soglia in frantumi. Poi sentì degli spari, e fece quello che la maggior parte delle persone presenti aveva già fatto: si buttò al suolo in posizione fetale coprendosi la testa con le braccia, troppo spaventata per poter pensare a cosa stesse succedendo, ma troppo terrorizzata da impedirsi di guardare lo stesso, come un coniglio sull'autostrada che si blocca quando vede i fari di una macchina precipitarglisi contro.

Le due guardie giurate avevano aperto il fuoco sull'uomo di metallo, ma i colpi gli rimbalzavano di dosso senza provocargli alcun danno se non farlo barcollare un po'. Poi un colpo ad un polso gli fece saltare dalla mano sinistra una delle sue pistole, e questo lo fece davvero incazzare. Puntò la destra verso i due, e da essa scaturì un raggio azzurrino, talmente luminoso da far male a guardarlo. Uno di loro venne colpito in pieno petto, e il colpo lo attraversò da parte a parte, con una gran fiammata. Monica fissò atterrita l'uomo accasciarsi al suolo, mentre l'aria si riempiva di un odore di bruciato, un misto tra la plastica fusa e il profumo delle grigliate di carne.

Una sensazione di assoluta impotenza la pervase. Non poteva fare nulla. Poteva solo stare lì ferma, zitta e buona e sperare, pregare Dio di non essere lei la prossima.

-Sono morta-.

E non riuscì a pensare ad altro. Sia perchè come la maggior parte delle persone che abitano in un paese occidentale non aveva mai visto prima un assassinio, sia perchè non ne ebbe materialmente il tempo.

La guardia superstite aveva buttato la pistola a terra e si era data alla fuga, inseguito dai colpi sparati a casaccio dal criminale che saettavano da ogni parte.

Purtroppo, stava fuggendo verso di lei.

O meglio, stava fuggendo verso il bancone delle casse per catapultarsi oltre ad esso e cercare riparo. Una mossa non troppo intelligente, visto che se i raggi mortali che avevano abbattuto il suo compagno avevano avuto sufficiente energia per trapassare il suo corpo e il giubbotto antiproiettile che lo proteggeva, di sicuro non sarebbero stati fermati da una parete di pochi centimentri di plastica e compensato. Ma in quel momento, l'uomo in divisa non era di certo nello stato d'animo per argomentazioni così complicate, e seguì ciò che gli diceva l'istinto: trova un cazzo di rifugio alla svelta.

Monica guardò a occhi sbarrati la guardia giurata che correva verso di lei per scavalcarla al volo e le saette azzurre che le volavano tutte attorno.

Poi il tizio di metallo gridò qualcosa, ma lei non capì. Aveva sentito una puntura, come di un ago, o di un insetto, sotto l'ascella sinistra. Sentiva puzza di bruciato. Guardò nel punto in cui percepiva la fitta, e vide un minuscolo cratere che emanava una strana fosforescenza azzurrina. Emise un piccolo colpo di tosse, poi il fiato gli si bloccò. La testa le crollò al suolo, e poi tutto fu buio.

E per un po', lei non ci fu più.

Poi, riaprì gli occhi.

Per un paio di secondi tentò di mettere a fuoco la vista senza riuscirci, e istintivamente allungò la mano a tentoni per cercare gli occhiali, finchè non si rese conto di averli ancora poggiati sul naso. Con un vago, assurdo senso di straniamento se li tolse dal viso, e si accorse di vedere perfettamente. Dieci decimi. Magari undici. O anche di più. Riusciva a distinguere le targhe delle automobili posteggiate al di là della strada, attraverso i vetri crepati.

Poi, di botto, tornò presente.

Che cazzo era successo?

Voltò di scatto la testa per guardare il punto in cui era stata ferita. Nulla. Neppure un segno, l'epidermide era liscia e perfetta.

Una sensazione incomprensibile cominciò ad attraversarle tutto il corpo. Stava bene. Cristo, stava benissimo. Poteva sentirlo. Stava bene, come non lo era mai stata in tutta la sua vita.

Lentamente, portò lo sguardo verso l'uomo in armatura. Stava tirando per i capelli un'impiegata, gridandole di tirare fuori tutti i soldi dalle casse, dandole della troia.

Per un qualche bizzarro motivo, questa cosa la fece arrabbiare più di tutto il resto. Più della guardia morta, più del fatto stesso che le avesse sparato.

La fece arrabbiare perchè le ricordava come si era sentita fino a pochi secondi prima. Una vittima.

E adesso non lo era più. Non sapeva il perchè, sapeva solo che era così.

Vide al suolo la pistola che era caduta di mano al criminale, e pensiero ed azione si fusero magicamente in una cosa sola. I suoi muscoli scattarono in perfetta sintonia, obbedendo alla sua volontà in maniera innaturale, e il tempo parve rallentarle intorno. Spiccò un balzo radente al suolo, capriolò su sè stessa e si ritrovò inginocchiata nel preciso, esatto punto in cui aveva progettato di arrivare, né un centimetro prima, né un centimetro dopo. Afferrò la pistola puntandola verso di lui con un unico, fluido e rapido movimento e fece fuoco nello stesso istante in cui bersaglio e mirino collimarono, senza alcuna esitazione.

Non le importava se non aveva mai sparato un colpo in vita sua, o se non si era mai trovata in situazioni simili. Sapeva di poterlo fare, come sapeva di poter respirare.

In realtà, la fortuna le venne in aiuto. Se l'arma fosse stata un normale revolver a proiettili, la sua totale mancanza di esperienza non le avrebbe permesso di controbilanciare con esattezza il rinculo dei primi colpi, ma quella era una pistola a raggi.

Esplose una salva di dieci colpi in sei secondi, e tutti andarono a segno come se fossero stati sparati da un computer. Il primo separò l'uomo dalla donna, il secondo lo disarmò, e gli altri gli smontarono buona parte dell'armatura di dosso.

Monica si alzò e si diresse decisa verso di lui.

I suoi passi avevano la grazia di una danzatrice e le movenze di un guerriero.

Si sentiva ricolma di una forza che non era di questa terra, poteva sentir vibrare i propri tendini come corde di metallo, e il sangue scorrerle vigorosamente nelle vene pompandole in corpo un'adrenalina più carica del protossido d'azoto.

Non era più Monica Colombo.

Era Athena, era Kali. Era Wonder Woman.

I suoi pensieri si mossero rapidi, veloci, e in una frazione di secondo riconobbe l'uomo di fronte a lei. L'aveva visto in un telegiornale qualche settimana prima. Era un criminale con poteri tecnologici, una mezza tacca che si era ribattezzato con nome di Rapinatore. Un nome idiota anche quello.

Il Rapinatore, vedendola avvicinarsi, fece scattare da un avambraccio un paio di lame ricurve e affilate, quel genere di lame che di solito si vedono solo nei film di kung fu cinesi e che sembrano più adatte a tagliare i quarti di bue che ad essere usate in un duello, e le sferrò un colpo con movimento ampio e veloce.

Monica piegò le ginocchia e la schiena all'indietro come una ballerina di limbo, ed evitò il fendente senza un secondo di indecisione, poi caricò il peso sulla gamba sinistra, e fece scattare la destra con una velocità tale da essere quasi invisibile.

Lo colpì col collo del piede dritto alle palle.

L'urto fu talmente violento che lo sollevò dal suolo di una ventina di centimetri. Lei sentì il contraccolpo riverberarle lungo tutto l'arto per poi disperdersi nel nulla attraverso la totale armonia del proprio corpo.

Ripiegò il ginocchio e ritrasse la gamba con perfezione robotica.

Il Rapinatore sembrò restare a mezz'aria per un istante, alla maniera di un corpo quando viene gettato in aria e raggiunge l'apice della sua spinta.

Poi, si fracassò sul pavimento come una carcassa di automobile mollata dalla gru di un rottamaio.

Rantolò qualcosa, poi si sganciò con movimenti febbrili la maschera dal viso e sboccò un fiotto di vomito prima di accovacciarsi stringendosi i genitali.

I bioritmi di Monica calarono, il tempo riprese a scorrere a velocità normale, e lei si rese conto che tutta la scena si era svolta in non più di una ventina di secondi.

Raccattò da terra la seconda pistola a raggi e scappò di corsa. Raggiunse la bicilcetta e aprì velocemente il lucchetto della catena, montò in sella e si fiondò lungo il viale. Nonostante la fretta, i suoi movimenti erano netti e precisi come quelli di una macchina industriale. Dopo pochi istanti però dovette sforzarsi di rallentare, perchè la sua andatura le stava facendo sorpassare la maggior parte dei veicoli a motore e stava dando nell'occhio. Si infilò in una vietta laterale e si fermò a riprendere fiato. Anzi, no. Non aveva alcun fiato da riprendere. Il suo respiro era regolare come un orologio, e non sentiva addosso nessuno dei sintomi che seguivano un grosso sforzo o un grande stress. Non tremava, non sudava nemmeno.

Cercò di scacciare l'idea dalla testa, ma era inutile. Sapeva cosa era successo. Lo aveva letto sui giornali e ne aveva sentito parlare in televisione.

Ma non era possibile. Era...era una di quelle cose che succedono solo agli altri, ecco.

Gene S.

Ce l'aveva solo una persona su centomila.

E quell'uno su centomila era lei.

Guardò per un attimo le due pistole che aveva messo in borsetta. Perchè le aveva prese? Non lo sapeva. Ma in fondo perchè no? Istintivamente sapeva di avere una mira perfetta, come tutto il resto del suo essere. E se qualcuno doveva tenersi quei due affari, beh, meglio lei di sicuro che quel pezzo di merda che aveva stirato in banca.

Sentì da lontano le sirene della polizia. Era meglio allontanarsi.

E adesso, cosa avrebbe fatto? Ma già lo sapeva. Si sarebbe fatta un costume, e avrebbe continuato a prendere a calci in culo i cattivi, ecco cosa. Un qualcosa di scosciato e scollato, che la mettesse in mostra… In fin dei conti, a cosa serviva avere un'identità segreta se non ti ci potevi divertire un po'? Una roba tipo cowgirl, con degli stivaloni sopra il ginocchio. Gli stivaloni facevano Ragazza Cattiva, e in quel momento lei si sentiva molto, molto Ragazza Cattiva. Con un paio di pantaloncini di Jeans di quelli che sembrano un costume da bagno e una maschera di... Aspetta, però, come la metteva una maschera con gli occhia... Cazzo! Gli occhiali! Li aveva dimenticati in banca! E adesso? Cosa avrebbe detto a casa? Poteva dire che aveva visto la rapina da fuori ed era scappata e nella fretta era caduta e si era rotta gli occhiali. Sì, ma come la spiegava la faccenda del recupero della vista? Opporcaputtana!

In qualche modo risolse, non è importante come. Si fece davvero un costume da cowgirl, e si trovò il nome meno idiota che riuscì a rimediare: Tirassegno. E la gente avrebbe parlato di lei e l'avrebbe salutata per strada.

Alla faccia di sua sorella.

 

 

 

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