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COMICS GALLERY

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L’UOMO IN FUGA

 

 

 

 

 

Se c'è una cosa che non auguro a nessuno, è di svegliarsi con un dopo sbornia coi fiocchi. E' uno dei due motivi per cui non amo bere troppo.

Gli indizi ci sono tutti: lingua felpata, saporaccio di bile in gola e la testa che mi fa un male cane, come se qualcuno ci stesse lavorando dentro con una mazza da muratore. Ciliegina sulla torta, mi trovo lungo disteso sul pavimento e con tutti i vestiti addosso.

Mi tiro sui gomiti sacramentando, ma quando lo faccio il tizio dentro la mia capoccia  sembra voler passare dalla mazza al martello pneumatico. Sto di merda, ma proprio tanto...mi sembra di essere reduce da una scazzottata con Bruce Lee dopo aver fatto commenti poco appropriati su sua madre. Ma, dato che sento che mi sta pure venendo da vomitare, decido di alzarmi, seppure con molta cautela. Mi gira la testa, quindi mi appoggio al muro e tiro un bel respirone, e alla fine mi guardo intorno.

Dove minchia sono?

Di sicuro non è il mio appartamento, io non ho una stanza da letto così grande. Un'occhiata al copriletto stropicciato mi fa intuire che devo essere cascato dal medesimo, il che giustificherebbe il dolore sordo al fianco sinistro. Dovevo essere così ciucco che probabilmente non mi sono neppure svegliato.

Butto un'occhiata alla finestra che mi regala una bella vista sul mare. A giudicare dalle case alte e strette con le facciate in tinta pastello, direi di trovarmi da qualche parte sulla costa ligure. Il che, dato che io abito a Milano, non è esattamente una bella notizia.

Andiamo bene...

Detto questo, passo alla domanda seguente: che ci faccio qua? Il secondo motivo per cui non amo bere, è che il giorno dopo non mi ricordo un accidente di quello che ho fatto sotto i fumi dell'alcool.

Mi affaccio timidamente alla porta.

-C’è nessuno?- sussurro.

Nessuna risposta. Faccio un veloce giretto esplorativo e scopro di trovarmi in un piccolo tre locali arredato coi mobili dell’Ikea, in cui però non c’è anima viva.

Okay, ringrazierò chiunque sia stato così gentile da ospitarmi  alla prossima occasione, adesso tutto quello che voglio è trovare un bar e spararmi almeno cinque caffè di fila, quindi raggiungo l’uscio e giro la maniglia, ma la porta non si apre.

Chiusa a chiave.

Il che è abbastanza logico, quando qualcuno esce di casa solitamente non la lascia aperta… Anche se viene da domandarsi quale tipo di persona molla in casa propria un perfetto sconosciuto stravaccato in terra e ubriaco perso.

Noto alcune foto che ritraggono una bella bionda sui trenta anni, molto carina e dalla faccia simpatica.

Forse è la mia ospite, o forse una sua amica, chissà. Ha un’aria vagamente familiare, ma che non riesco a inquadrare… Ad ogni modo rovisto in qualche cassetto a caso e ci trovo solo abiti e biancheria intima femminili, quindi evidentemente mi trovo nell’appartamento di una donna single.

Resta il dubbio che possa essere casa di un travestito. Mi corre un brivido lungo la spina dorsale: che ho combinato stanotte, mentre ero ubriaco?

Mi infilo al volo a curiosare in bagno dove trovo una confezione di assorbenti Lines Idea che mi fanno tirare un sospiro di sollievo. Lo sguardo che butto allo specchio invece un po' meno. Ho veramente un'aria da schifo, quindi ne approfitto per darmi una sciacquata veloce e sistemarmi un po' gli abiti tutti stazzonati. Per avere un aspetto decente dovrei anche farmi la barba, ma a meno di non riuscire a radermi con l'Epilady mi sa che dovrò lasciar correre.

L'acqua fredda comunque mi ha un po' snebbiato il cervello, quindi mi accomodo sul divano a L in salotto e cerco di ricostruire i fatti.

Partiamo dall’inizio. Cos’ho fatto ieri? Niente di speciale, ho passato la mattinata insieme a Ermanno a discutere di quell'assegno postdatato che dovevo coprire, e nel pomeriggio ho fatto un salto in sala corse a perdere qualche cinquanta euro su dei brocchi pronti per la macellazione, come al solito. Dopo mi ha telefonato l’Angelo.  Giusto… mi aveva detto che aveva per le mani un grosso giro di fatture false e che mi avrebbe dovuto presentare uno…il commendator coso… come cazzo era… Visieri… Manteri… Bisleri!

Il commendator Bisleri!

Com’era andata poi? Comincia a tornarmi in mente tutto, un po’ alla volta… Allora, diceva che questo tizio era un bell’industriale, e che era interessato ad aggiungere un po’ di uscite alla sua dichiarazione dei redditi. Angelo mi aveva spiegato che era già da un bel po’ che gli buttava giù fatture false, però il Bisleri voleva allargare il giro di evasione e non voleva restare agganciato ad una persona sola. Così lui si era offerto di diventare, per così dire, la sua agenzia di servizi nel mondo delle fatture taroccate. Mi aveva detto che se gli avessi ceduto il dieci per cento di quello che incassavo mi avrebbe fatto entrare nel giro, che c’era grana per tutti. Ma il Bisleri preferiva prima conoscere di persona con chi si andava a mettere, e così ieri sera l'Angelo aveva dovuto combinare un incontro a tre, io, lui e il nababbo, in un ristorante in centro. Me lo ricordo adesso, il Bisleri, un riccone faccia di merda antipatico come la medesima. Parlava e rideva con la bocca piena, di una finezza che non vi dico, e con una morale che io e l’Angelo insieme al confronto parevamo due chierichetti, il che è tutto dire, ve l’assicuro.

Da quel punto in poi però tutto si fa inevitabilmente confuso. Ricordo che già a tavola ci avevamo dato dentro mica da ridere col bere. Almeno quattro bottiglie in tre, più liquorino. Io non è che ci tenessi tanto, ma quello stronzo del Bisleri era uno che ti dava del culattone se non bevevi, e alla fine la scelta era tra bere o mandarlo a cagare. Quindi, visto il grano in gioco, io avevo scelto di assecondare il pascià.

E dopo? Dopo ho solo qualche vago sprazzo di memoria, immagini confuse di un posto buio con della musica, forse un night…sì, mi pare di ricordare una tizia con le tette di fuori, sicuramente un night. Il commendatore doveva aver deciso di prolungare la nottata fino alle ore piccole andando a fare orge nei localini.

Ma da lì in poi è il nulla, posso solo fare ipotesi.

Beh, mi trovo nell'appartamento di una donna sola, no? Probabilmente ieri notte il Bisleri aveva voluto concludere la serata a casa di una donnina allegra...Ma perché venire fin qui? Forse a Milano avevano terminato le battone disponibili? Non credo… Inoltre, l'appartamento è abbastanza in ordine, non sembra reduce da una notte brava. Certo, la signorina poteva anche aver messo in ordine mentre io dormivo...ma perché lasciarmi qui, invece di sbattermi fuori? Troppe domande, e poche risposte. Decido quindi di cercare le ultime da chi la sa certamente più lunga di me. Tiro fuori il telefonino e faccio il numero dell'Angelo.

Dopo una serie curiosamente lunga di squilli, l'amico non risponde, così gli invio un messaggino con scritto: -Angelo, che minchia è successo ieri notte? Mi trovo chiuso in un appartamento in Liguria, e non mi ricordo un cazzo. Chiamami, pirla!-

Non faccio in tempo a rimettermi in tasca il cellulare, che questo comincia a squillare con la suoneria dedicata al sopracitato Angelo. Rispondo al volo.

-Angelo? Ciao. Mi dici cosa...-

-Dov'è che sei?- mi interrompe lui con voce stravolta.

-Dove cazzo vuoi che sia? Nello stesso appartamento dove evidentemente siamo stai ieri notte.-

-Cosa?!? Sei ancora lì? Vuoi...vuoi dire che non eri già uscito?-

-Eh, se ti sto chiamando da qui, mi pare proprio di no! Mi sono addormentato nella stanza da letto, ero ciucco...-

-Ma io ci avevo guardato in stanza da letto!- esclama lui, disperato. Ma che succede?

-Sì...- rispondo io, iniziando a preoccuparmi -Ma sono cascato dal letto, tra il letto e la finestra, non potevi vedermi se non facevi il giro...-

-Oh Cristo...- mormora lui -Oh Cristo...-

-Angelo? Mi spieghi...-

-Oh, Cristo...Allora ti abbiamo chiuso dentro?-

-Sì, quello l'ho capito anch'io, grazie! Ora mi dici...-

-Esci da lì, subito!! Te ne devi andare, di corsa!-

-E come cazzo faccio? Sono chiuso dentro!- sbotto io -Senti, non puoi venire ad aprirmi?-

Dall'altra parte del filo (se così si può dire, trattandosi di cellulari) sento arrivare una risatina isterica.

-No, senti, io non posso fare niente per te.- mi dice dopo qualche istante -Non sono neanche più in Italia!-

-Cosa? E dove cazzo sei?-

-Non posso dirtelo! Non è sicuro...senti, devi andare via, trova il modo!-

-Mi stai dicendo che sennò non verrà nessuno ad aprirmi?-

-Ti sto dicendo che non devi farti trovare lì da nessuno, cazzo!!! Te ne devi andare, e non devi farti vedere! Ma non ti ricordi cosa è successo ieri notte?-

-No, non mi ricordo! Ma perché che cosa è successo?-

Ma dall'altra parte, silenzio. Mi ha attaccato in faccia? No, cazzo, controllo e scopro che ho finito il credito. Giusto. Avevo su sì e no due euro, se quel pirla dell'Angelo era veramente all'estero, mi sono volati via in un attimo. E non posso ricaricarlo, perchè sulla mia Visa non c'è più un soldo...

Comunque, il messaggio ricevuto fino ad ora è decisamente chiaro. Non so come o perché sono qui, ma è evidente che devo filare, e pure alla svelta. Ma come?

Non posso calarmi dalla finestra, siamo in alto, forse al terzo piano, e non sono mica un acrobata del circo. E mi farei notare, direi. L’unica via è la porta che però è chiusa a chiave da fuori. Però... forse in casa ci sono altre chiavi, non so, un mazzo di scorta in qualche cassetto. Non faccio in tempo a pensarlo che già sto cercando dappertutto. Comincio dal mobiletto nel corridoio, poi passo ai comodini in camera da letto. Su una sedia vedo una borsetta che prima non ho notato. -Bingo!- penso, e invece niente. Solo dei cosmetici e il portafogli.

Do un’occhiata alla carta di identità, e scopro che è quella della donna nelle foto, tale Annamaria Domenici, anni 32. Si rafforza l’ipotesi che sia la padrona di casa, ma questo non mi aiuta, così come il nome non mi dice nulla.

Ricomincio a cercare, spostandomi in salotto. Esploro il mo-bile da parete che occupa tutto il muro in fondo, pieno di ripiani e cassettini ricolmi di tutte le cazzate possibili e imma-ginabili, ma chiavi niente.

Dall’altro lato della stanza c’è un mobiletto. Guardo anche lì, spalanco il cassetto e ci trovo qualcosa che non sto cercando.     

E’ nera, dall’aria pesante e bella grossa.

Una pistola semiautomatica.

Chiudo di botto.

Cazzo è un gran bel cannone quello lì, roba da professionisti. O almeno credo, non è che io ci capisca troppo di armamenti.   

Inizio a preoccuparmi, anzi, a preoccuparmi ancora di più.

In che cazzo di casino mi sono andato a mettere? Che minchia è successo ieri notte?

Cerco di mettere a fuoco i miei ricordi, ma a parte il mal di testa ho anche lo stomaco che brontola, anzi ruggisce, dalla fame. L'orologio appeso alla parete mi dà ragione, dato che segna mezzogiorno e tre quarti. Inutile tentare di ragionare a stomaco vuoto, mi dico, quindi vado a cercare qualcosa di veloce da mettere sotto i denti.

Curiosamente, la cucina è l'unica stanza dell'appartamento in cui regna un certo casino. Si direbbe che qualcuno abbia voluto sbrinare il frigorifero la sera prima, c'è roba da mangiare poggiata ovunque, vasetti di yogurt, uova, verdura, formaggio... A conferma della mia ipotesi, in un angolo poggiati per terra ci sono i ripiani interni dell'elettrodomestico in questione.

La cosa si fa sempre più strana, anche perché dal frigo emana il tipico ronzio del compressore in funzione, e il portello è chiuso.

Incuriosito, afferro la maniglia e lo apro.

-Guarda- penso -La stessa faccia della foto!-

Solo che qui si vede anche il corpo. Tutto piegato strano.

Chi non ha mai pensato a quale sarebbe stata la propria reazione nel vedere all’improvviso un morto ammazzato dove non se lo aspetta? Beh, la mia è quella di rimanere lì in piedi come uno stronzo. Sento il cervello che mi sbatte di qua e di là nella testa come se stesse cercando di scappare via, e caccio uno strillo molto poco virile prima di cadere a terra e cercare di chiudere il frigo con un piede. Solo che un braccio della morta è cascato fuori quando ho aperto, e adesso blocca lo sportello, nonostante i miei sforzi da checca isterica di richiuderlo a calci.

 Vado avanti così per un po’, sembra la scena di un film di Tarantino, a vederlo da fuori farebbe anche ridere.

Ma a vederla da dentro no, per niente.

Dato che non ottiene i risultati sperati, il mio cervello decide di smettere di occuparsi della mia gamba scalciante e decide di dedicarsi allo stomaco. Mi alzo di scatto e corro in bagno giusto in tempo per vomitarmi anche l’anima nella tazza del cesso. Non so nemmeno perché mi sono preso la briga di muo-vermi e non ho rimesso direttamente sul posto.

Sarà l’abitudine.

Comunque la seduta di lavanda gastrica mi strema talmente tanto che ricomincio a ragionare. Mi sciacquo e mi lavo. Con calma. Soprattutto perché non ho nessuna fretta di tornare di là a misurarmi con la notte dei morti viventi. Anche se di vivente quella non ha proprio più nulla. Mi avvicino a passi felpati alla porta della cucina, e sbircio dentro con cautela, sentendomi un perfetto coglione perché so benissimo che non c’è nulla per cui stare attenti.

Lei è ancora lì.

O meglio il suo braccio è ancora lì, dato che è l’unica cosa che si vede di lei, grazie al cielo. Sto lì un poco a domandarmi se devo rimetterlo dentro o lasciarlo lì dov’è, quando la parte che ancora ragiona del mio cervello fa un’operazione semplicissima:

morta ammazzata +

io unica persona sul posto = 

almeno dieci anni di galera.

Decido di assecondare il mio istinto di sopravvivenza e quasi mi slogo un polso sulla maniglia perché ho dimenticato di essere chiuso dentro a chiave. Con una morta. Questo genere di pensieri porta al panico, sapete? Infatti, la prima cosa che faccio è cominciare a prendere a calci la porta. Non è una mossa molto intelligente prendere a calci una porta blindata sperando di aprirla dall’interno. Soprattutto quando non si dovrebbe cercare di dare troppo nell’occhio, visto il cadavere in frigo. Smetto subito, e mi piazzo allo spioncino per vedere se qualche vicino si fa vivo. Dopo dieci minuti di orologio e con un occhio che pare all’ultimo stadio di una congiuntivite realizzo che o non c’è nessuno, o chi c’è si fa i cazzi suoi.

Viva l’Italia.

Mi appoggio con la schiena alla porta, scivolo pian piano per terra e porca puttana inizio a singhiozzare come un bambino sgridato dalla mamma. Di più, inizio a piagnucolare e a frignare sdraiato in terra in posizione fetale invocando qualcuno, non so chi, perché mi aiuti. Una roba del tipo perché perchè  perché proprio a me cosa ho fatto di male io va bene ho il vizio del gioco e faccio le fatture false e gli assegni a vuoto ma Cristo non ho mai messo una mano addosso a nessuno non sono mai stato cattivo con qualcuno anzi se posso aiutare cinquanta euro non li ho mai negati a nessuno se aveva bisogno…- e vi faccio grazia del seguito.

Vado avanti così per una mezz’oretta poi, quando ho esaurito le scorte di dignità da bastonare e mi sono sfogato ben bene, mi fermo. Tiro un po’ il fiato, svuotato dentro, poi mi soffio il naso e mi metto seduto. Tutto quel pianto mi ha fatto bene, mi sento meglio e provo a ragionare con calma. Prima però allungo il collo e sbircio in cucina, per assicurarmi che la morta sia ancora là dove l’ho lasciata. Sì, lo so che non poteva mica essersi alzata per farsi un caffè, ma sarà che sotto sotto speravo che fosse sparita per magia, come in un brutto sogno. E invece no, è ancora lì, nel frigo.

Ma poi perché nel frigo? Perché qualcuno dovrebbe ammazzare una donna e poi metterla in un…

Questa la so!

Non per niente mi sono pippato una cifra di episodi di C.S.I..      

Quando la scientifica trova qualcuno ucciso, la prima cosa che fanno è cercare di capire da quanto tempo è morto. Temperatura, rigidità delle membra, colore del bianco dell’occhio (credo…), da tutte queste cose capiscono più o meno l’ora del trapasso. Ma se tu ficchi il corpo in un congelatore li freghi. Il processo di decadimento dei tessuti si ferma, la temperatura si abbassa subito e compagnia bella, impossibile sapere da quanto è cadavere. E se non sai quando è avvenuto il delitto è difficile investigare su chi sia l’omicida. Pure se hai un sospettato, non puoi domandargli dove si trovava all’ora del delitto, perché non la sai manco tu.

Quel piccolo tassello di logica mi tranquillizza un poco. Quando un evento perde il suo mistero in qualche modo ti fa meno paura, ti pare di acquisire più controllo sulla situazione. E’ solo un’illusione, ma di illusioni si vive.

Alla domanda numero due, perché l’hanno uccisa, non provo neanche a rispondere. Non so nemmeno chi è, figuriamoci se posso sapere in cosa era coinvolta.

Ma la domanda che mi interessa di più è la numero tre: che c’entro io?

E’ impossibile che l’assassino non sapesse che io ero in casa. O no? Dopotutto, l'Angelo non mi ha visto, e quindi neanche lui. Forse è entrato, l’ha uccisa subito con…Com’è stata ammazzata, poi? Non l’ho guardata abbastanza a lungo da capirlo, ma non ne avevo visto di sangue…Forse l’ha stran-golata, e era convinto che fosse sola in casa, e invece c’ero io, ciucco sverso nella stanza di fianco. Mi corre un tremito lungo la schiena. Se mi avesse trovato, capace che ammazzava anche me. Che culo!

Però... se l'Angelo mi ha detto che dovevo scappare via, vuol dire che già lo sapeva, forse l'avevano trovata già morta. O forse hanno visto chi l'ha ammazzata. O forse l’hanno ammazzata loro ! No, l’Angelo che ammazza qualcuno non me lo vedo proprio. E pure il panzone non pareva il tipo…Ma poi perché venire fin qui per uccidere qualcuno?

Oppure… Cazzo!

Le impronte digitali! Le ho sparse a piene mani per tutta la casa! Quando le trovano sono fottuto! Mi alzo di scatto pensando a cosa ho toccato in giro e a cosa posso usare per pu-lire, quando mi viene in mente che non sono schedato. Non ho neanche fatto il servizio militare. Quindi anche se trovano le mie impronte queste non sono in nessun archivio e non gli servono a niente!

Il battito cardiaco comincia a rallentare…non è ancora successo niente di irreparabile, almeno per me, l’importante è riuscire ad andarmene da qui.

Riprendo a cercare come un forsennato, setaccio tutta la casa, guardo perfino nel ripostiglio, nel bagno, in tutti i posti dove si possa pensare di nascondere delle chiavi, e anche in quelli dove nessuno sano di mente le metterebbe. Alla fine, mi rimane solo la cucina. Lo sapevo. Mi sento come quel tizio che cerca un numero di telefono in un elenco di quattro pagine e alla fine scopre che quello giusto è l’ultimo. Prendo il coraggio a due mani, e mi inoltro nel piccolo obitorio casalingo dove mi aspetta il braccio della morta. Giuro su Dio, è solo un braccio ma sento che mi sta fissando negli occhi. Va bene, facciamo alla svelta. Apro cassetti, scoperchio barattoli e vasetti, scatole dei biscotti, tutto. Guardo pure nel forno, pensate un po’, ma niente.

Sudo freddo, ma veramente freddo, e non perché non sono riuscito a trovare le chiavi, il motivo vero è che mi sono orribilmente reso conto che è rimasto solamente un altro posto dove non ho ancora guardato. Che guarda caso è l’unico dove non ho assolutamente nessuna voglia di cercare, ne adesso ne mai.

Mi giro pian piano verso il frigorifero. Il braccio è sempre lì che mi guarda. Mi pare quasi che mi rida dietro, adesso. Ci penso bene: ho veramente voglia di farlo? No. Ma proprio no. Lo devo fare per forza? Sì, pare proprio di sì.

Mi avvicino al sarcofago domestico lentamente, come se avessi paura che lo sportello si possa spalancare e la morta saltasse fuori gridando -Bù!-. Sì, magari. Invece no, lo sportello me lo devo aprire da solo, e faccio pure un po’ di fatica perché con tutti i calci che gli ho dato prima devo avergli svirgolato le cerniere. Tra l’altro devo anche aver rotto il braccio alla tipa, perché la metà di sotto dell’avambraccio è tutta piegata storta. Giuro, se avessi ancora qualcosa nello stomaco vomiterei di nuovo. Non che lui non faccia di tutto per provarci, sia chiaro, perché mi salgono un paio di conati di roba acida causandomi una tosse strozzata che mi brucia tutta la gola. Berrei volentieri un bicchiere d’acqua, ma temo che rigetterei anche quello. Alzo lo sguardo verso la morta, fissando il suo volto inespressivo. Strano, sembra tranquilla, come se fosse morta con dolcezza, ma la collana di lividi blu che ha intorno al collo la dice lunga sulla sua dipartita. Avevo azzeccato al primo colpo, qualcuno l’ha strangolata. Ma quando strozzi qualcuno, questo muore con una brutta smorfia in faccia e di solito con la lingua di fuori. Era come se il suo assassino le avesse ricomposto i lineamenti con le proprie mani, prima di chiuderla lì. Come un ultimo gesto gentile. Forse era qualcuno che la conosceva, e nonostante tutto non voleva che l’ultima immagine di lei nel proprio ricordo fosse simile a quella di un’impiccata. Forse era un suo ex. O forse un serial killer, come quelli dei film. O forse stavo pensando tutte quelle cose per rimandare il più a lungo possibile quello che dovevo fare.

Okay, basta cazzeggiare. La tipa indossa un paio di jeans, quindi è lì che devo cercare, ma il problema è che non ho idea di come tirarla fuori. Suonerà anche strano, ma ho come paura di romperla. Lo so che tanto lei non se ne accorge, ma me ne accorgerei io. Non sono così insensibile, oltre all’orrore per la situazione provo una pena enorme per questa poveraccia, e l’idea di mancare di rispetto alla sua salma dopo che qualcuno le ha fatto questo… Lo so, non è un ragionamento logico, ma di fronte ad un morto la logica conta poco. Le infilo una mano delicatamente sotto ad un’ascella e provo a smuovere con dolcezza, ma non si sposta di un millimetro. Tiro ancora un po’, ma niente. Mi sento assurdamente imbarazzato, non so da che parte prenderla, mi viene quasi da dire -Mi scusi-. E se provassi ad infilare una mano nelle tasche? Ora che ci penso non serve neanche quello, i Jeans sono piuttosto stretti, se c’è un mazzo di chiavi si dovrebbero sentire in rilievo sotto il tessuto. Le passo le dita lungo le tasche posteriori, pensando a che bel quadretto si troverebbe di fronte chiunque entrasse dalla porta adesso. Un tizio che abbraccia una morta dentro a un frigorifero mentre le tocca il culo. Hai voglia a spiegare che non è come sembra. Questo pensiero mi spinge a fare alla svelta, nelle tasche di dietro niente, vediamo davanti. In quella destra percepisco una sporgenza dura e sottile. Forse ci siamo! Insinuo un dito con la massima cautela possibile, come se temessi di svegliarla, e incontro un anellino di metallo con infilate dentro due chiavi, una grossa e una piccola. Tiro, e grazie a Dio non si impigliano nel bordo della cucitura.

-Alèèè!- grido come un imbecille, e poi mi faccio -Ssst!- da solo, sempre come un imbecille.

Ci credete che poi rifaccio -Alèèè- sottovoce?

Roba che a raccontarlo non ci si crede.

Quei due pezzetti di metallo mi fanno provare un sollievo mai sentito prima, nemmeno quella volta a quindici anni, quando alla mia ragazza è tornato il ciclo dopo una settimana di ritardo. Sto lì come un cretino a ridere, sorrido anche alla morta e le dico -Grazie! Grazie!- la amo quella donna, l’adoro, mi ha salvato la vita. Corro alla porta come un razzo, infilo la chiave nella toppa e quella non entra. Panico. Provo quella grossa nell’altra serratura, e non entra nemmeno quella. Ci rimango talmente male che non mi vengono le parole per spiegarlo. -Caaaazzo!- grido sottovoce. Lo so che sembra strano, ma si può gridare sottovoce, il trucco sta nell’usare il tono di quando si urla ma il volume di quando si sussurra. Dico -Cazzo!- tante di quelle volte che sembra che sto recitando un mantra. Getto le chiavi per terra e poi inizio ad insultare la donna nel frigo con titoli irripetibili, non è più la povera vittima per la quale prima avevo tanto riguardo, no, è la più grande stronza delle stronze, la grandissima puttana che mi ha preso per il culo! Riesco a stento a frenare l’impulso di correre in cucina e prenderla a calci. Mi assale un senso di frustrazione e impotenza indescrivibile, e comincio ad iperventilare fino a quando mi gira la testa e mi devo di nuovo sedere per terra.

Dopo qualche minuto mi alzo e vado in cucina a bere un poco d’acqua, che ne ho davvero bisogno. Me la passo anche sulla faccia, mi scuoto un po’, torno alla porta e raccolgo il mazzo di chiavi da terra. Osservandole bene, salta subito all’occhio che quella più grossa non è la chiave di una porta blindata. Quelle sono più lunghe, e le alette di metallo più piccole. No, questa è chiaramente la chiave di una piccola cassaforte, di quelle a muro. Mi guardo intorno. E’ vero, non è il momento più adatto per curiosare in giro, ma mi attacco alla speranza che ci sia ancora un ultimo posto dove non ho cercato. Le probabilità che qualcuno tenga in cassaforte una copia delle chiavi di casa è estremamente prossima allo zero assoluto, ma non è che abbia tanto da scegliere. Rovisto in giro e la trovo dopo cinque minuti, dietro a un quadro. Viene da domandarsi perché la gente si prenda la briga di nasconderle, tanto lo sanno tutti che stanno dietro ai quadri. E’ un modello della Silmec, con uno sportello più o meno trenta per quaranta e, grandissima botta di culo, con serratura senza combinazione! Provo la chiave e entra, la giro e scatta qualcosa. Lo so che non ci sarà quello che cerco, ma non posso impedirmi di sperare. Apro con un colpo secco, e guardo. All’interno, c’è una piccola valigetta, nera e lucida. La tiro fuori e provo ad aprirla, ma la chiusura è bloccata. Ma non è una chiusura a combinazione, è dotata di una piccola serratura a chiave. Con mano tremante provo la seconda chiave, quella piccola, e anche quella entra. Giro, apro e rimango basito.

Pensavo che dopo la morta nel frigo e il cannone nel mobiletto del salotto non potesse stupirmi più nulla, ma mi sbagliavo, mi sbagliavo eccome.

Una valigetta piena zeppa di biglietti da cinquecento euro ancora confezionati con la loro bella fascetta bancaria avrà sempre il potere di lasciarmi senza parole. Rimango lì a guardarli come uno che ha visto la madonna, non riesco a staccare gli occhi da quella santa visione.

Ma quanti saranno?

E che ne so, chi li ha visti mai così tanti tutti in una volta? Anzi, neanche a rate, se è per questo. Richiudo di botto, guardandomi intorno come se avessi paura che qualcun altro li abbia visti e me li volesse portare via. Tutto all’improvviso la voglia di andarmene si è fatta molto più pressante, ha assunto un significato tutto diverso. Adesso non devo solo salvarmi il culo, devo anche filarmela con il malloppo.

Quella marea di soldi e tutte le meravigliose prospettive future che mi si possono spalancare davanti sembrano dare al mio cervello un’iniezione di steroidi formato famiglia, e inizio a pensare con la velocità di un computer della NASA.

Andarmeneandarmeneandarmene, devo andarmene…Potrei far saltare la serratura con la pistola! E’ blindata, ma quel cannone dovrebbe bucarla lo stesso…sì, ma dove tiro? Non conosco il modello, ma è di quelle con la manopola che gira, quindi deve avere un sistema di sbarre multiplo, e se è di quelle che si infilano anche dalla parte coi cardini, non la apri più. No, troppo rischioso anche per il rumore. E se chiamassi qualcuno per farmi aprire? Un fabbro, o qualcosa del genere! Gli dico che è un’emergenza, e poi lo pago in nero, così non devo dare dati o firmare niente…Tanto quello che ne sa che non è casa mia? Sì, ma l’indirizzo? Non so nemmeno in che città sono! Aspetta! Ma certo! Corro come una lepre in camera da letto e riprendo la carta d’identità della donna. Ormai è sicuro che si tratta della padrona di casa, altrimenti non avrebbe le chiavi della cassaforte e della valigetta, e sui documenti c’è l’indirizzo di residenza! Eccolo qua…Via Aliprandi 44, Nervi, Genova. Ora so dove sono e posso chiamare qualcuno. Prima, setacciando casa, non ho trovato traccia di elenchi del telefono, ma mi basta fare il 1240 o uno di quelli. Tiro fuori il fidato telefono cellulare, lo accendo, e lo schermo mi informa che posso effettuare solo telefonate d'emergenza. Cazzo, ho finito il cre-dito! Me ne ero scordato, porca troia!

E adesso? Telefoni fissi in casa non ce ne sono, cellulari non ne ho visti. E’ vero che non ne stavo cercando uno, ma se lo avessi incrociato me ne ricorderei.

Mi siedo sul letto con la testa tra le mani. Non posso chiama-re aiuto dalla finestra, qualcuno chiamerebbe i vigili del fuoco o peggio, la polizia. Decido che l’unica cosa che posso fare è aspettare che arrivi qualcuno e, nel caso, infilare la porta di corsa con la valigetta approfittando dell’elemento sorpresa. Sempre che qualcuno si faccia vivo, ovviamente. Ma credo di sì, tutti quei soldi hanno di sicuro un padrone, e non credo proprio che fosse la povera Annamaria. Forse era un corriere, e se anche non fosse importato a nessuno della donna, qualcuno prima o poi sarebbe venuto a cercare la grana. E forse non sarebbe stato contento di trovarlo lì, o di trovare la tizia morta.

Per cui, passo al piano numero due. Comincio a rimettere in ordine tutto il casino combinato prima, richiudo i cassetti e le antine, la cassaforte, rimetto a posto pure le sedie. Poi mi faccio forza, e rimetto le chiavi in tasca alla poveretta. Solo che non ho il coraggio di toccarle il braccio per rimetterlo dentro, così lo spingo all’interno con un cucchiaio di legno. E’ veramente incredibile quello che si arriva a fare in certe situazioni. Ora, devo nascondermi. Agguanto una bottiglia d’acqua e un paccone di crackers (perché nonostante tutto fame e sete si fanno sentire), e mi chiudo nel ripostiglio di fianco alla porta d'ingresso, in attesa. Il piano? Quando arriverà qualcuno, la prima cosa che farà sarà cercare la donna, e appena entrerà in una delle stanze, io me la filerò all’inglese, e tanti saluti a tutti. Funzionerà. E’ un piano talmente scemo che non può non funzionare. La sua forza sta nella sua semplicità, sono le cose troppo complicate che poi falliscono sempre. Continuo a ripetermelo per un bel pezzo, più che altro per convincermi, perché in realtà mi sto veramente cagando sotto.

Non so nemmeno per quanto tempo aspetto, so solo che ho finito da un pezzo i crackers e la minerale, mi sono venuti i crampi alle gambe e sta cominciando anche a scapparmi la pipì, quando sento una chiave infilarsi nella serratura e girare. L’adrenalina comincia a circolarmi in corpo con così tanta forza da farmi star male. Sento un groppo in gola e un formicolio al cervello, e il cuore mi batte in petto come un tamburo. Mi alzo immediatamente. Sono pronto. Appena sento aprirsi la porta di una stanza, scatto fuori e chi s’è visto s’è visto.

Peccato che la prima porta ad aprirsi sia proprio quella di quel cazzo di ripostiglio dove mi sono infilato.

Non chiedetemi come ho fatto, ma giuro su Dio che non mi ero accorto che alle mie spalle ci fosse un appendiabiti attaccato al muro. Sapete, di quelli di legno con i pomelli. Il tizio che ha aperto ha già in mano il giubbotto che voleva appendere, quello dietro di lui se lo sta ancora sfilando. Ora, lo so che questo sarebbe il momento ideale per sfruttare il famoso elemento sorpresa di cui sopra, che quei due non si sarebbero mai e poi mai immaginati di trovare qualcuno che saltava fuori dal ripostiglio. Solo che la sorpresa ce l’ho avuta pure io, e quindi tutto quello che riesco a fare è rimanere lì impalato come un pirla, dicendo -Salve-.

Faccio pure ciao ciao con la manina.

Neanche un secondo dopo mi ritrovo a terra nel corridoio, con un’idea alquanto vaga della traiettoria eseguita in aria prima di atterrare sulla schiena.

-E tu chi cazzo sei, stronzo!- ringhia uno dei due, quello che ha aperto per primo e che mi sta sopra con l’aria di uno che mi ammazzerebbe volentieri anche solo come passatempo. I due tizi hanno una faccia da galera che neanche nei film sulla camorra l’ho vista mai. Uno è sul biondo, mentre quello che mi sta parlando è moro, scuro di carnagione e con la barba. Non sono particolarmente grossi e alti, ma hanno una ghigna che da sola compensa tutto il resto.

-Ho detto chi cazzo sei?- insiste il tipo. Da qualche parte nel cranio il mio cervello cerca disperatamente qualcosa a cui ag-grapparsi, e me ne esco dicendo -Sono un amico di Annamaria! Non mi fate del male!-.

La trovata pare funzionare, e il gorilla sembra calmarsi un poco.

Il suo compare mi scruta con aria inquisitoria, e con un tono di circa il tre per cento più gentile di quello dell’amico mi chiede -Chi sei? Come ti chiami?-.

Io ho un microsecondo di dubbio, gli dico il mio vero nome o me ne invento uno di mio? Ma dopotutto sono nelle loro mani, e in tasca ho il portafogli con dentro i miei documenti, quindi non vale la pena bluffare.

-Mi chiamo Giovanni, Giovanni Ambrosini! Ma che succede?- piagnucolo, con una faccia di tolla memorabile. Il moro che mi stava sopra mi aiuta a rialzarmi, o meglio mi afferra per la giacca e mi tira su di peso. Quando mi lascia quasi ricasco per terra, mi sento tutto molle. Mi guarda un po’ poi mi fa -Io non ti conosco.- e io di rimando gli faccio una faccia che vorrebbe esprimere chiaramente che non è colpa mia e che se fosse per me lo avrei conosciuto prima molto volentieri. Anche l’altro mi guarda storto e gli fa eco -Neanche io ti conosco.-

Al che io accenno una risatina e ribatto -Beh, non è che si possa conoscere tutti quelli che ci sono in giro, no?-

Nessuna risposta, solo sguardi truci. -Insomma- rincaro -neanche io vi conosco, ma mica me la prendo a male, no?- e sorrido. Ancora nessuna risposta. Mi pare quasi di udire in lontananza il vento del deserto e i grilli, come quelli che nei cartoni animati dicono una battuta che non fa ridere nessuno.

Senza dire una parola mi spintonano in salotto, e uno dei due mi fa -Seduto!- accompagnando il gentile invito con una manata sul petto che mi manda col culo sul divano.

-Ora dicci- mi intima il biondo -Come è che conosci Annamaria?-

Qui comincio ad andare a ruota libera. Sono sempre stato un gran cacciapalle, ci ho vissuto e guadagnato su questa mia qualità. Regola numero uno: tu non sai niente su quella donna, ma è probabile che anche questi due non siano amichetti d’infanzia e quindi conviene stare sul vago.

-Sono un amico di famiglia, la conosco da quando siamo bambini…-

Comincio male. I due si guardano e si scambiano un sorriso tipo quello di una volpe a cui un coniglio abbia chiesto un’indicazione stradale.

-Ma davvero?- mi fa con aria soave il moro -E come mai sai che si chiama Annamaria?-

Resto basito.

-Perché…perché è il suo nome, no?- rispondo in un impeto di sincerità. Ma la sincerità non paga. Mi cala sulla faccia un ceffone di quelli che vedi Gesù, la Madonna e i Santi tutti insieme, finendo praticamente giù dal divano. Ma quasi non tocco il suolo perché i due mi riacchiappano e mi rimettono di peso seduto, come un pupazzo.

-Ora smettiamola con le cazzate e dicci dove cazzo sta Annamaria, o sono cazzi tuoi!- mi urla in faccia sempre quello moro. Il lessico lascia a desiderare, ma il messaggio è estrema-mente chiaro. A questo punto tanto vale dire la verità.

-Non lo so dov’è Annamaria, non so neanche chi è!-

Okay, non proprio tutta la verità, mi sa tanto che qualche dettaglio qua e là mi conviene stralciarlo...

-Ieri sera mi sono ubriacato con degli amici e stamattina mi sono svegliato qua, e non sapevo dov’ero, sono anche stato male e ho vomitato, guardate in bagno se non ci credete, allora ho pensato che qualcuno ieri notte mi aveva portato qua, forse un conoscente…- e qui mi fermo perché dalle loro facce vedo che non credono neanche ad una parola di quello che gli sto dicendo. Ecco cosa si guadagna ad essere sinceri, almeno in parte.

Quello biondo mi caccia uno sguardo stile "professore che ascolta le scuse penose di uno studente che sta spiegando perché non ha fatto i compiti a casa". Io mi azzittisco ancora di più, lui si fa avanti si china verso di me.

-E allora ce lo spieghi che cosa ci facevi nascosto nello sgabuzzino?- mi fa.

Io sbatto gli occhi per qualche secondo poi azzardo.

-Volevo farle uno scherzo…-

Stavolta lo sberlone non mi coglie di sorpresa, forse perché dopo una risposta del genere me lo sarei dato da solo, ma mi fa ugualmente un male cane. Mi ha beccato l’altra guancia, e mi sento la faccia gonfia e paonazza come un pallone. Poi mi tirano in piedi, e uno dei due, non saprei quale, mi rifila un cazzotto che mi affonda nello stomaco.

Madornale errore.

Colpito nell’orgoglio il mio stomaco, evidentemente più uomo di me, reagisce con violenza e di colpo vomito addosso a tutti e due tutto il pacco di crackers e l'acqua minerale che avevo in corpo, una cosa allucinante, tipo l’esorcista.

Becco praticamente in pieno il tipo biondo, peccato, avrei preferito beccare l’altro, mi sta più antipatico.

-Caaazzo, ma che schifo, cazzo, che schifo!- inizia a sbraitare indietreggiando con la camicia fradicia di robaccia. Anche l’altro, pur essendo stato colpito solo di striscio ad un braccio, anela ad allontanarsi da me, e mi spinge via mandandomi affanculo. Io casco per terra, ancora scosso dal conato immon-do che mi ha sconvolto lo stomaco, e picchio la spalla contro un mobile, un mobile con un cassetto. Come in un sogno, lo apro e ne afferro il contenuto, puntandolo verso i miei due aguzzini.

Di solito nella scena dove il povero sfigato trova una pistola e la punta contro i cattivi di professione, questi lo sfidano a sparare, sicuri che una mezza sega come lui non avrà mai il coraggio di premere il grilletto. Dicono cose del tipo -Ci vuole fegato per ammazzare un uomo, stronzetto!- e roba del genere. Ma io ne ho conosciuta di gente veramente poco raccomandabile nella mia vita, e tutti quanti mi hanno assicurato che quando ti trovi una canna puntata addosso, la voglia di dire minchiate ti passa di botto. Sai che la tua vita è appesa al gesto di un dito, e se la persona armata è anche spaventata è pure peggio, perché un uomo terrorizzato tende a fare cazzate prima di riflettere.

Beh, la sapete una cosa? Avevano perfettamente ragione.

I due tipi adesso, pur mantenendo una calma molto professionale, se ne stanno lì con le mani protese in avanti, comin-ciando a dirmi di stare calmo e che se ne può parlare.

Ma io ho smesso di parlare. Ora do solo ordini.

-Le chiavi!- strillo con una vocetta da castrato. I due mi guardano come se gli avessi chiesto un cono crema e cioccolato, con la panna sopra, grazie. Io mi schiarisco la voce e abbassando il tono di qualche ottava mi spiego meglio.

-Le chiavi della porta, porca puttana!- Uno dei due infila la mano con estrema lentezza nella tasca dei pantaloni e le estrae.

-Mettile sul tavolino!- gli faccio.

Lui esegue, e io a quel punto esito. Nei film quando ti distrai un secondo ti saltano addosso, ti levano la pistola e ti pigliano a mazzate. Ma questa è la realtà, e quando prendo le chiavi quei due sono più immobili di un paio di manichini della Rinascente. Indietreggio verso la porta, infilo una mano nel ripostiglio sempre senza perderli d’occhio e piglio la valigia. La vista del malloppo fa cambiare colore alle loro facce, che passano dal bianco smorto al rosso paonazzo.

-Guarda che non sai in che cosa ti stai mettendo…- fa per dire uno dei due.

E ha ragione, non lo so affatto. Ma ormai ci sono troppo dentro per andarmene senza una buonuscita. Li faccio indietreggiare fino in fondo alla stanza, apro la porta, infilo le chiavi nella serratura e poi chiudo di botto dando due mandate a velocità di record. Dopodiché, mi scapicollo giù per le scale come un forsennato, aspettandomi di sentir picchiare sulla porta. Ma non ci sono rumori. Dopotutto ho sempre io la pistola. Vero, ma non sono il solo ad averla, come mi testimonia la piccola esplosione di gesso e intonaco che apre un cratere a venti centimetri dalla mia spalla destra. Attraverso a razzo l’androne del palazzo chiedendomi come ho fatto ad essere così stupido da non pensare che avessero un secondo mazzo di chiavi, o che fossero armati. Ma ho ancora vantaggio su di loro, così comincio ad infilare vicoli a destra e a sinistra assolutamente a casaccio, finché trovo un portone aperto e mi ci butto dentro, attraverso un cortiletto con delle palme e arrivo ad un muro. Non è molto alto, lo scavalco montando su di un cassonetto dell’immondizia e finisco in un altro vicolo e ricomincio a correre.

Non ce la faccio più, i polmoni mi scoppiano e mi sento debole come un gattino, e so che quando esaurirò l’adrenalina non riuscirò più ad andare da nessuna parte. Ma li ho seminati. E ho una valigia piena di soldi. E quando hai tutti questi soldi puoi anche continuare a scappare per sempre.

 

NOVITA'!
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