top of page

COMICS GALLERY

4

 

CASA

 

 

 

 

 

Coglione, coglione, coglione.

E’ questo che mi sto ripetendo da non so quanto, mentre continuo a vagare per i vicoli del paesello ligure. Ma perché cazzo gli ho detto il mio nome? Perché? Gli rifilavo una balla qualunque e adesso ero più introvabile dell’uomo invisibile! Ora invece quanto ci vorrà prima che mi becchino? E come lascio la zona? Non so che organizzazione ci sia alle spalle dei due bastardi che mi stanno correndo dietro. Non ho la macchina, e non posso andare alla stazione del treno, può darsi che la stiano controllando. Oppure no, forse sono io ad essere paranoico e magari stanno ancora girando come due fessi per tutto il paese sperando di trovarmi per caso. Ma se invece non è così? Non posso correre il rischio. E allora? Il paese più vicino sarà probabilmente a cinque o sei chilometri da qui lungo la costa, la Liguria è tutto un centro urbano unico, ma non posso certo mettermi a camminare lungo la strada, così in bella vista! Se putacaso mi stessero cercando proprio sul lungomare, dove mi nascondo? In spiaggia?

Tanto più che non ho nemmeno la pistola, adesso. L’ho buttata in un tombino, conciato come sono già do abbastanza nell’occhio, ci manca solo che mi fermi un vigile o chi per lui e mi trovi armato. Sai che risate?

Poi, la soluzione si presenta davanti ai miei occhi sotto forma di un taxi che scarica un tizio davanti ad un alberghetto. Lo agguanto al volo. Il tassista non è esattamente felicissimo della mia presenza in auto, dato che puzzo di vomito da fare schifo e ho l’aria di un barbone, ma evidentemente deve averne viste di peggio, perché mi porta senza troppe storie alla stazione ferroviaria di un paese dieci chilometri più a sud lungo la costa. Gli rifilo una mancia principesca per il servizio, dopodiché salgo su un treno per Milano Centrale. Non vi dico come mi tengo stretta la valigia, praticamente non si stacca da me per tutto il tragitto. Una volta arrivato a meta, prendo un altro taxi (e chi si fida ad andare sui mezzi pubblici?) e mi faccio portare a casa mia.

Forse non è la mossa più intelligente della mia vita ma giuro, non sapevo che altro fare. Dove vai con una valigia piena di soldi? Devo trovare un posto dove fermarmi per pensare a dove mettere il malloppo, e mica posso andare in un albergo. Lì mi chiederebbero i documenti, finirei in un registro, lascerei una pista da seguire. Casa mia per il momento è forse il posto più sicuro. E’ vero, avevo detto ai due stronzi il mio nome, ma non il mio indirizzo, e grazie al Cielo da diversi anni ho rinunciato alla linea fissa e quindi non risulto sull’elenco del telefono. Al giorno d’oggi, basta un'ora di ricerche sul sito delle Pagine Bianche per beccare qualcuno. Ma anche così, non ci metteranno molto a beccarmi...

Appena entrato in casa per prima cosa apro la valigetta e conto i soldi, subito dopo aver chiuso la porta a chiave e abbassato le tapparelle. Strano come avere con sé una piccola fortuna renda paranoici…

Quando finisco di contarli mi sento male, sono quasi dieci milioni.

Per una cifra del genere ti trovano, cazzo se ti trovano.

Quindi, devo andarmene. Ma dove? In Brasile, in Costa Rica, un posto così. Ma come li faccio passare i soldi alla dogana? E come faccio a prendere il biglietto senza lasciare il mio nome? Non è facile… Per prima cosa mi servono dei documenti falsi, e quelli forse posso procurarmeli… E devo capire dove mettere i soldi, non servono a niente se non stanno al sicuro, non posso portameli sempre appresso, troppo pericoloso.

Ma per prima cosa, devo levare le tende. Non so quanto vantaggio mi rimane ancora su quei brutti ceffi, forse ore, forse minuti. Mi do una ripulita veloce e una strigliata ai denti con annesso abbondante risciacquo di collutorio alla menta, e mi cambio rapidamente d’abito. Poi preparo al volo un borsone con il minimo indispensabile, mi ficco in tasca qualche banconota dalla valigetta e poi infilo anche quella nella sacca da viaggio e prendo su il mio fido portatile della Acer.

Prima di uscire mi fermo un attimo sulla soglia di casa, e mi guardo indietro. Per quasi un minuto fisso quei mobili, quelle pareti e quelle finestre che negli ultimi anni hanno visto tutto di me, le mie piccole miserie, le donne che mi sono scopato, le mie cambiali e le serate davanti alla TV.

Appartamento di merda. Non mi mancherà neanche un po’.

Due rampe di scale e sono in strada. La giornata è magnifica, e fa sembrare bella anche questo schifo di città. Non ho mai capito come a certa gente possa piacere Milano, miserabile sorella minore e bruttina delle capitali europee. Una città che sembra nascondere apposta tutto quello che ha di bello appena si esce di cento metri dal centro. Il traffico è un bordello, trovare posteggio un casino, ed è sempre piena di vucumprà e zingari che ti rompono i coglioni ad ogni angolo.

Ma il cielo è terso, il sole brillante e io tengo stretta una borsa con dentro un capitale, quindi chi se ne frega.

Allora, mossa numero uno, devo cambiare abitazione. Mi infilo in un Bar Tabacchi, ordino un caffè e poi mi siedo a un tavolino con il mio portatile, attivo il collegamento wireless e comincio a cercare tra le offerte. Mi segno un po’ di numeri poi mi ricordo che non ho ricaricato il cellulare, e allora mi metto a mercanteggiare col tizio dietro la cassa. Gli spiego che ho bisogno di fare alcune telefonate, e gli offro una ricarica da dieci euro per il favore. Il bastardo tira sul prezzo fino ad arrivare a venti, che si fa consegnare in anticipo, poi mi concede magnanimamente l’uso di un Nokia vecchio e strausato, tenendomi d’occhio tutto il tempo come se mi avesse affidato suo figlio. Dopo mezz’ora di tentativi trovo quello che mi serve, un vecchio pensionato figlio di puttana che per un prezzo improponibile affitta un monolocale in centro, semi arredato, e senza contratto.

E’ il cielo che lo manda.

Gli faccio capire che sono molto interessato e che se per lui va bene lo vedrei anche subito, e lo strozzino accetta. Ovviamente non posso usare la mia auto, la targa è rintracciabile, quindi chiamo una compagnia di taxi e dopo cinque minuti arriva una macchina a prendermi. Meglio essere troppo prudenti che troppo poco, no? Rendo il telefono ringraziando tra i denti e salgo in macchina.

Do l’indirizzo all’autista che grazie al cielo è taciturno, oltre che straniero. Impiega circa mezz’ora per un tragitto da dieci minuti, facendo un giro che nessuno sano di mente farebbe, e quando arriviamo mi dissangua un bel 45 euro, il ladro.

E poi mi chiedono perché odio questa città.

Ma io non faccio una piega, ho ben altre preoccupazioni. La zona non è male, in effetti, e sono quasi tentato di giustificare la cifra esorbitante che il vecchietto mi ha sparato al telefono. Raggiungo il numero civico, citofono e mi annuncio. -Quarto piano- mi fa l’anziano. Che in una casa di quel tipo, con i soffitti di tre metri e mezzo, vuol dire tante scale da raggiungere il settimo in una casa normale. Ovviamente, niente ascensore. Quando giungo alla meta mi sembra di meritare il titolo di alpino onorario, e il padrone di casa, vedendomi arrivare sfiatato se ne esce con una frase originalissima: -Eh, son tante le scale, eh?- Vorrei ammazzarlo, ma soprassiedo. Ci presentiamo, e lui mi mostra l’appartamento, che sta un piano più su. Allegria.

Mi fa entrare e mi illustra l’ambiente.

-Son più di trentacinque metri quadri!- mi dice, con l’aria di uno che mi sta mostrando la suite imperiale.

-Calpestabili?- replico io, con aria scettica.

-Ah, no! Commerciali!-

Io mi guardo attorno con aria compiaciuta e fasulla, dando cenno di apprezzare la vista, i soffitti alti di una volta, i mobili. Insomma, recito la parte di quello che pensa che sta facendo un affare. Il vecchietto starà pensando che sono un pollo da manuale, ma la cosa mi sta bene. Poi scendiamo nel suo appartamento, un quattro locali grande come una piazza d’armi, e ci sediamo in salotto per definire l’accordo.

Il fetente non mi offre nemmeno un caffè.

-Allora, che ne pensa?- mi fa l’imbroglione.

-Guardi, è proprio quello che stavo cercando, vicino al centro…è un po’ più piccolo di quello che pensavo ma…-

-Beh, così c’è meno da pulire, no?- mi ammansisce lui, con un sorrisetto finto-cordiale.

-Anche questo è vero!- replico io con una faccia finto-divertita.

Calo un velo pietoso sul resto del dialogo, denso di una cortesia più fasulla di una banconota da trenta euro. Lui mi alliscia il più possibile per trombarmi, e io cerco di accettare sembrando il meno coglione possibile, il che è un’impresa. Avverto un po’ di diffidenza quando gli dico che vorrei pren-dere possesso dell’appartamento immediatamente, ma gli rifilo la storiella di quello che è stato appena buttato fuori di casa dalla fidanzata e che abita in albergo da una settimana, e lui se la beve. O forse si fa più affabile perché gli dico che non ho problemi a pagargli i tre mesi anticipati e i tre di cauzione. Vorrei sputargli in un occhio, chiedere la cauzione senza un contratto, il bastardo… Ma alla fine troviamo l’accordo, e il venerabile mi dà le chiavi e si leva finalmente dalle palle.

Chiudo la porta con due mandate, poso il borsone e il portatile e mi guardo intorno.

Sono a casa.

Già, perché in fin dei conti cos’è casa? Casa è il posto dove ti senti al sicuro, ecco cos’è. E qua mi ci sento. A parte il vecchiaccio nessuno sa che sono qui, e dato che mi guarderò bene dal cambiare residenza in Comune, sono introvabile. Quasi quasi mi fanno pena quei due poveracci che mi stanno cercando. Quasi.

Okay, adesso ho una base operativa e un posto dove tenere i soldi. Per nasconderli scelgo il vecchio trucco di disseminarli per tutto l’appartamento. Nei cassetti, nel frigo, nelle scatole, sopra l’armadio. Faccio un mucchio di pacchettini usando la carta d’alluminio che trovo dimenticata in uno sportello dell’angolo cucina. E’ un giochetto che funziona benissimo con i ladri. Quelli entrano in casa, cercano e non appena trovano il primo pacchetto con dentro una paccata di soldi se la squagliano, convinti che non ci sia altro in giro da rubare. Certo, è una soluzione temporanea, ma per adesso va bene. Altro problema è il taglio, tutti questi pezzi da cinquecento danno nell’occhio, ma posso cambiarli in banca, un po’ alla volta e sempre in sedi diverse.

Finita l’impresa, mi sbatto sul letto, o meglio sul materasso, perché ovviamente non ho con me lenzuola né altro. Mi sa che se vorrò fermarmi qui, dovrò fare un po’ di compere…Non mi spoglio nemmeno, non ne ho né la forza né la voglia. Mi fa male lo stomaco sia per le botte ricevute sia per i conati di vomito, e adesso che sono al sicuro la forza nervosa che mi ha sostenuto fino ad ora se n’è andata a fare la nanna. E io la seguo a ruota.

Quando mi sveglio, mi guardo intorno e mi prende il panico.

Cazzo, non sono a casa mia! Un’altra volta?

Poi mi sveglio un poco e mi ricordo che ho cambiato appartamento ieri. Il cuore smette di farmi bum-bum, e comincio a fare la conta dei danni. Sono indolenzito dappertutto, in più ho dormito storto e mi si è accrocchiato il collo, che mi fa un male cane. Mi stiracchio un po’, in un concerto di ossa scricchiolanti, e mi ripeto per la miliardesima volta che dovrei decidermi a fare ginnastica la mattina.

Sì, come no.

E comunque tecnicamente non è più neanche mattina, almeno a giudicare dall’orologio antidiluviano appeso al muro di fronte. Dodici e trentacinque. Tenuto conto che mi sono addormentato che non erano nemmeno le otto di sera, è stata una bella maratona. Ma tanto che mi frega? Mica mi aspetta qualcuno, no?

Ma adesso il problema vero è un altro, e cioè che ho una fame boia. A parte il pacco di crackers che ho rimesso addosso ai due bastardi e una merendina Fiesta che ho preso ad un distributore automatico in stazione, non ho mandato giù nulla da tutto ieri, e mi tremano un po’ le gambe. Ora che ci penso avrei potuto farmi un panino a casa mia, ma avevo così fretta di squagliarmela che non mi è nemmeno venuto in mente. Rinuncio all’idea di fare la spesa, anche perché non ho neppure uno straccio di posateria o pentolame in questo loculo, quindi mi do una sciacquata alla bell'e meglio, mi pettino (il pettine l’ho portato io, ovviamente) poi mi chiudo per bene la porta alle spalle, mi rifaccio la scalinata infame, che per fortuna in discesa lo è un po’ meno, e mi avventuro per strada.

Non è una mossa così avventata come potrebbe apparire. Innanzi tutto, non so nemmeno se quelli già hanno scoperto che io abito a Milano, ma comunque incrociarli per caso in una città di quasi due milioni di abitanti è praticamente impossibile. Per sicurezza però preferisco evitare le zone del centro più battute come Piazza del Duomo, Corso Vittorio Emanuele o la Galleria, e mi dirigo verso le strade più interne, fino a raggiungere un baretto tavola calda mai visto prima. Sarà eccesso di prudenza, ma è meglio non frequentare i posti dove bazzico di solito, no? Il gestore è un egiziano sui trent’anni, la faccia da furbo ma molto educato. Tra l’altro anche la cucina non è male. Dopo un paio di piatti pronti e due birrette, mi sento meglio. La pancia piena è un tranquillante fenomenale, meglio di uno psicofarmaco, e finalmente mi fermo a riflettere con calma sulla mia situazione. Quei due loschi figuri che mi avevano ripassato a dovere a casa della povera Annamaria, cosa mi avevano detto? Come facevo a sapere che si chiamava Annamaria? E come doveva chiamarsi? Era il suo nome, stava scritto sulla carta di ident…Aspetta. E se i documenti fossero stati falsi? Magari Annamaria era un nome finto, e se io fossi stato un amico d’infanzia, come gli avevo millantato, non avrei potuto saperlo. Avrei dovuto invece conoscerla con il suo vero nome! Sì, ma poi chi erano quei due? Mafiosi? Ne avevano l’aspetto, e pure i modi. Mi sa tanto che Annamaria o come cazzo si chiamava era davvero un corriere, chissà a cosa servivano quei soldi. E adesso ce li ho io. I soldi della mafia. Ah, cazzo, una bella posizione. Ma sarebbe ancora peggio avere la mafia alle costole senza i soldi. Perché a quest’ora quei tizi avranno sicuramente trovato la loro amica morta nel frigorifero, e mi sa tanto che quel dettaglio mi avrebbe comunque messo sulla lista nera.

Se ero sicuro che la polizia mi avrebbe dato la colpa, figuriamoci la mafia!

Quelli mi ammazzano così, giusto per andare sul sicuro, tanto per loro uno in più o uno in meno… E comunque, come cazzo ci entravano l'Angelo e il Bisleri in tutta quella faccenda?

E io, poi?

Mi sa che è meglio pensare al futuro piuttosto che al passato. Filarmela sale al posto numero uno nella classifica delle cose da fare.

Pago il conto e mi avvio verso casa. Giunto in loco, mi arrampico a passo veloce su per la tromba delle scale… I primi due piani. I seguenti a passo calmo, e col fiatone. Al quarto piano trovo ancora il vecchiaccio, appoggiato alla balaustra. Ma che fa, ci vive qua fuori?

-Salve, signor Ambrosini! Come va?- chiede con aria giuliva.

-Eh, insomma…- ansimo io.

-Già, son tante le scale, eh?- ridacchia l’infame.

E due. Alla terza giuro che lo strozzo. So anche come far sparire il cadavere, lo metto nel frigo. E quando lo ritrovano, questo? Mi sorbisco l’ultima rampa con questi truci pensieri, poi mi richiudo nel loculo a tramare.

Devo andarmene, e senza lasciare tracce. Non è che basta filarmela lontano, la mafia non ha mica l’estradizione, quelli mi ammazzano anche alle isole Cayman. Il mezzo più sicuro per lasciare l’Italia è il treno. Niente richiesta di documenti, finché rimango nel territorio dell’unione. Ma l’Europa è piccola, e troppo burocratizzata. Devo raggiungere qualche posto esotico e lontano, uno di quei posti dove con i soldi puoi cambiare identità senza troppi problemi.

Apro il mio portatile, e inizio a fare una ricerca su internet per farmi un’idea del posto migliore in cui scappare, poi, spinto dalla curiosità inizio a cercare se c’è qualche notizia che mi riguardi. Cerco sulle notizie locali della provincia di Genova, ma quello che trovo mi lascia allibito.

Trovo un trafiletto che annuncia la morte di una donna, il cui nome mi leva ogni dubbio, che si è suicidata impiccandosi nel suo appartamento.

Un suicidio? No, fatemi capire, cos’è, si stava impiccando davanti al frigo aperto, poi la corda ha ceduto e lei ci è cascata dentro e in ultimo rantolo di agonia ha richiuso la porta per non consumare la lampadina?

E poi c’era stata anche una sparatoria nel palazzo, qualcuno avrà pure sentito i colpi e avrà avvertito il 113, o roba del genere. Un momento, però… Quali spari? Non c’erano stati spari, io non li avevo sentiti. Ho visto un buco scoppiare nel muro davanti a me, ma nessun botto. Avevano usato il silenziatore.

Altra cosa strana.

Avevo pensato che ci fosse di mezzo la mafia ma ora… Guappi mafiosi che girano col silenziatore in canna? Nei tele-giornali non si sentiva spesso una cosa del genere. Quelli della Mafia non usano i silenziatori, il botto della pistola fa paura e questo gli piace.

Il silenziatore lo usano d’abitudine quelli che non vogliono farsi notare, che devono passare inosservati.

In silenzio. In segreto.

Oh, cazzo.

Servizi segreti? Mi sono messo contro l'AISI? Possibile? Beh, identità di copertura, soldi contanti in grandi quantità, documenti falsificati, assassini interessati ad eliminare qualcuno ma che ignorano il denaro e che lasciano sul posto un fesso di comodo a prendersi la colpa… E ora una notizia inventata per coprire un brutale omicidio con morta frigoriferizzata.

Tutto questo puzza di servizi segreti da fare schifo. Porca puttana, ho in casa i soldi dello stato, non quelli della mafia! E’ meglio o è peggio?

E’ peggio perché mi possono cercare con l’aiuto della polizia internazionale, ma è meglio perché così posso scappare in un paese senza l’estradizione e non possono venirmi a prendere… Non ufficialmente, almeno.

Ma nessuno gli vieta di trovarmi e venirmi a sgozzare nel sonno, se gli va.

A questo punto forse andarmene non è la soluzione migliore. Finché rimango qui sono irrintracciabile. Ma poi? Mi serve un piano, ma uno di quelli coi fiocchi.

A questo punto del ragionamento sento bussare alla porta.

Un toc toc discreto, ma che mi fa saltare per aria come lo scoppio di una bomba a mano. E adesso chi cazzo è?

Comincio a sudare freddo.

Meglio non fare rumore, meglio non respirare nemmeno.

Forse se ne andranno. Forse non butteranno giù la porta, non mi infileranno un cappuccio nero in testa e non mi porteranno in una qualche Guantanamo locale per sbattermi in una cella due metri per due senza finestre e senza cesso dove mi lasceranno per il resto dei miei giorni facendomi uscire solo una volta ogni tanto per un interrogatorio e qualche bella seduta di torture medioevali. Forse penseranno che non ci sono e che proveranno a ripassare la prossima volta. Già. E poi Babbo Natale e la Befana entreranno ballando dalla finestra e mi inviteranno a fargli da testimone di nozze, perché no?

-Signor Ambrosini, è in casa?- mormora una vocetta fievole al di là della porta. E’ il vetusto. A momenti casco per terra. Non so più se ho voglia di abbracciarlo e baciarlo o di strozzarlo e buttarlo giù dalla tromba delle scale. Gli apro.

-Sì?- gli faccio con la voce più cordiale possibile -Desidera?-

-Volevo avvisarla che domani staccano l’acqua dalle nove alle undici, mi ha avvisato l’amministratore adesso. Devono fare dei lavori nel bagno di un appartamento del secondo piano.-

-Ah. Bene. La ringrazio molto. Buonasera.-

-Buonasera.-

E chiudo. Maledetto figlio di puttana, a momenti mi faceva prendere un infarto! Lui e la sua acqua del cazzo, ma lo sa dove glielo infilo io il bagno del secondo piano, tubature e tutto?

Mi siedo un attimo e cerco di calmarmi. Calma. Non è colpa del vecchiaccio infame, anzi, lui mi aveva pure fatto una cortesia. O meglio, aveva fatto il suo dovere, dato che l’amministratore non sa della mia esistenza in quanto affittuario abusivo. Il che rafforza la mia ipotesi: nessuno sa che io sono qui, quindi sono al sicuro, in una botte di ferro. Sono stato proprio uno scemo a spaventarmi in quel modo. Non posso lasciare che la paura mi domini in questa maniera, o altrimenti qua non vivo più! E dai!

Non finisco il pensiero, che alla porta si ode di nuovo un toc-toc. Mi avvicino di soppiatto, e sbircio dallo spioncino. Va bene non spaventarsi per ogni sciocchezza, ma un po’ di prudenza spicciola non fa mica male, no? Purtroppo quello che vedo non mi aiuta per niente. Dietro alla porta ci sono i miei due amici liguri, il biondo e il moro.

-Apri- mi fa il moro con voce calma -Tanto lo so che sei lì che ci guardi dallo spioncino. Guarda che se non apri faccio saltare la serratura, e poi è peggio perché mi avrai fatto incazzare.-

Il discorso di per sé non fa una piega, e la sua logica stringente mi convince in pieno. Tanto, dove vado? Apro la porta come in un sogno, e li faccio entrare senza una parola. Loro si accomodano con naturalezza, pare quasi che stiano entrando a trovare un amico.

-Carino qua- fa il biondo -C’è un mio amico che sta cercando un posto del genere. Come lo hai trovato?-

-Su…su internet- balbetto io -Non ricordo il sito, però…-

-E quanto ti hanno chiesto al mese?-

-Milleduecento euro. Spese escluse.-

-Contratto regolare, otto anni rinnovabili?-

-No, no, tutto in nero…-

Ma come cazzo hanno fatto a trovarmi? Non ho lasciato tracce, non…ma come cazzo hanno fatto a trovarmi?

-Scommetto che adesso ti stai chiedendo come abbiamo fatto a trovarti, vero?- dice il moro, gongolando con aria divertita. Ma che, adesso leggono anche il pensiero, questi? Rispondo con un suono inarticolato, che vista la situazione contingente può essere tranquillamente tradotto con "Sì, in effetti me lo stavo proprio chiedendo, a questo punto".

Il moro deve avermi capito, perché estrae lentamente dalla tasca del giubbotto, reggendolo con due dita, un affarino di plastica gialla che assomiglia a un GPS. Una lucetta lampeggia in un punto dell’intreccio di vie disegnate sullo schermo. Io comincio a guardare alternativamente prima lo schermo, poi il tizio che lo tiene in mano, con un’aria che pare mi spuntino dalla testa i punti interrogativi, come nei fumetti. Poi lui, magnanimo, mi fa un cenno con la testa indicandomi la valigetta che conteneva i soldi e che se ne sta in bella vista sul tavolo in mezzo alla stanza. Io mi giro la guardo a bocca aperta, poi mi volto verso i due e faccio -C’era un…nella…?- con aria molto idiota.

Il biondo fa cenno di sì con la testa, con aria da solenne presa per il culo.

-Oh, merda.- pronuncio io in un soffio.

-Eh, già.- replica il moro -Proprio così!-

Dopodiché, cala il sipario, tutto si fa buio, e buonanotte ai suonatori.

 

NOVITA'!
bamboo-edition.png
Immagine.jpg
Immagine.jpg
album-cover-large-44071.jpg
bottom of page